
388 successi da manager Fortitudo con il 68% di vittorie!
Non è uno qualunque a lasciare la Fortitudo. E’ Marco Nanni, un personaggio che fa parte della Storia di questo Club. Nella sua Bologna è stato giocatore, coach, manager. Punto di riferimento. Immagine di equilibrio, applicazione, costanza, coerenza.
Lucido e intelligente ”regista” difensivo dietro il piatto di casabase, quando negli Anni Novanta chiamava i lanci di Manny Sarmiento (prestigioso pitcher che aveva vinto l’anello con Cincinnati Reds alle World Series 1976), Les Straker un ex dei Minnesota Twins e anch’egli vincitore di un’edizione delle World Series, quella del 1987, Mike Hinkle pitcher di Triplo a Louisville, Les Lancaster un altro che ha vissuto nel mondo della MLB (indossando le casacche di Chicago Cubs, Detroit Tigers, St Louis Cardinals), e inoltre Joel Lono, Walter Cossutta, Roberto Radaelli, Riccardo Corradini, Fabio Betto, Cristian Mura.
Successivamente, a partire dal 2002, Nanni comincia l’avventura da tecnico. Dapprima come prezioso collaboratore di Mauro Mazzotti nell’Italeri che vince gli scudetti del 2003 e del 2005. L’ex-catcher dimostra senso dell’organizzazione e profonda etica del lavoro, inevitabile pertanto che la squadra venga affidata alla sua guida per il dopo-Mazzotti.

Marco Nanni festeggia la vittoria in European Cup nel 2013
Dieci anni da manager di quella Fortitudo che ha nel cuore. Nanni la pilota con sicurezza, mantenendo la squadra regolarmente ad alti livelli. E’ sempre nei playoff, in campionato, stagione dopo stagione. E spesso compete sulle strade d’Europa, dove la Fortitudo è Club fra i più apprezzati e rispettati.
Un baseball logico, disciplinato e una solida identità difensiva come bella espressione tecnica: questo il marchio di fabbrica della Fortitudo “targata” Marco Nanni.
I risultati? Campione d’Italia nel 2009, campione d’Italia nel 2014, e tre volte sul tetto d’Europa (2010, 2012, 2013), quattro successi in Coppa Italia (2008, 2010, 2012, 2015).
Nove titoli in dieci anni. Risultati valorizzati da un pregevole baseball. E da una capacità organizzativa che ha sempre portato – stagione dopo stagione – a formare gruppi compatti ed equilibrati.
Che cosa pretendere di più? Però… a Bologna c’è il vizietto di brontolare, di criticare (in qualunque settore, particolarmente nello sport) e di essere dei “maigoduti”. E così anche il manager che ha conquistato nove trofei dal 2008 al 2015 è stato messo in discussione, soprattutto dopo la sconfitta (allo spareggio) nella finalissima di Coppa dei Campioni. Contro Rotterdam. Che è più forte. E quando l’avversario è più forte, e gioca sul “diamante” di casa, ci sta di perdere. Qualcuno, evidentemente, non ha ragionato così. Infatti certi rapporti, certi vecchi e collaudatissimi rapporti, improvvisamente non sono più stati gli stessi. E Nanni, resosi conto di un feeling che aveva cominciato a guastarsi (ma non con la squadra…), ha ritenuto corretto rinunciare all’opzione che aveva sul rinnovo per la stagione 2016. Lo ha fatto sapere alla Società. Alla vigilia delle “Italian Series”, le sfide per lo scudetto. Nessuno evidentemente lo ha trattenuto…

Nanni festeggia uno dei nove titoli vinti con la Fortitudo
Nanni, raccontiamoli questi intensi dieci anni alla guida della Fortitudo Bologna. Cominciamo… dando i numeri: 571 partite giocate, 388 vinte! Questo è il totale fra partite di campionato (336 vittorie e 166 sconfitte), Coppa dei Campioni (38 successi, 10 partite perse), Coppa Italia (14 – 7). Appunto 388 gare vinte su 571 giocate. Per una percentuale di vittorie del 68%.
“Eh, adesso che vengo a conoscenza di questi numeri rimango impressionato. Non lo sapevo. Non sono mai stato un maniaco delle statistiche, soprattutto quelle del passato. Perchè il passato è passato. E ad ogni nuova stagione si volta pagina e ci si rimette in gioco. Ecco perchè non mi sono mai messo lì a fare i conti di quante partite abbiamo vinto in questi anni”.
Un elenco che, invece, conoscevi bene è quello delle conquiste. Nove titoli in dieci anni. Ti senti orgoglioso di quel che ha realizzato?
“Assolutamente orgoglioso di tutto quello che abbiamo conquistato. Tutti insieme. E soprattutto di tutto quello che abbiamo creato. In queste dieci stagioni la Fortitudo Baseball ha cambiato faccia diverse volte, di qua sono passati tanti giocatori, sono cambiate le formazioni, eppure ogni volta abbiamo creato dei gruppi importanti ed ogni volta la squadra ha avuto la stessa identità, o quasi. Significa che c’è il marchio d’una mentalità e di una certa espressione tecnica”.
Sbaglio, o sei l’allenatore che ha vinto di più nella storia della Fortitudo Baseball?
“Così mi è stato detto”.
Sì, Marco, te lo confermo. E’ così. Dopo quest’intervista ho fatto una ricerca. Nanni davanti a tutti. Al secondo posto Rocky Shone: 2 scudetti (ma sul primo il merito va condiviso con Jimmy Strong, sostituito proprio da Shone sul finire del campionato 1972), 1 Coppacampioni e 1 Coppa Italia, nei primi Anni Settanta alla guida dell’Amaro Montenegro.
Ha vinto tanto, la tua Fortitudo. Da diventare un’abitudine. Ma talvolta non è riuscita a farsi trovare pronta con l’appuntamento importante: in quei casi che cosa si prova?
“Si prova amarezza, inevitabilmente. Soprattuto quest’ultima stagione. La ferita è ancora fresca. Perdere così, quattro gare l’una dopo l’altra, era inaspettato. Particolarmente dopo avere dominato per mesi, sia nella prima sia nella seconda fase. Avevo una squadra costruita per vincere qualcosa d’importante, non dico tutto, comunque per almeno una conquista di prestigio eravamo tecnicamente dotati. Poi… però succede che nel momento decisivo qualcosa non va per il verso giusto e all’improvviso si perdono delle certezze”.
Alla vigilia della serie finale contro Rimini, la Fortitudo UnipolSai Bologna proponeva un record di 37 partite vinte e appena 9 perdute. Statisticamente era il miglior campionato del tuo decennio da manager. Che cos’è accaduto in quella maledetta serie finale dove la squadra più vincente del campionato è stata demolita dai Pirati di Rimini?
“La sconfitta in gara1 ha lasciato il segno sul piano psicologico. Ci ha tolto sicurezza. Gli episodi non sono stati a noi favorevoli, ma ho sempre detto che gli episodi aiutano chi li va a cercare. Va detto anche che lo stato di forma di qualche giocatore non era al meglio. E invece i Pirati sono arrivati a quest’appuntamento fisicamente al massimo e mentalmente tosti. Avremmo potuto pareggiare i conti vincendo, la sera successiva, gara2. Il problema è che non era disponibile Riccardo De Santis, la sua importante esperienza era una garanzia per noi. Purtroppo non l’abbiamo potuto utilizzare in queste finali. Un problema a livello burocratico, un problema di comunicazione. Credo sia stata una situazione non gestita bene”.
Un bravo manager, oltre ad essere preparato tecnicamente, deve essere anche psicologo. Un motivatore. Saper dire la parola giusta e stimolante ad un giocatore o a un collaboratore. E’ difficile entrare nei pensieri degli altri?
“E’ difficile, però credo che una mia dote sia proprio quella di riuscire a capire come andare a pizzicare le corde giuste nel momento giusto. Credo che con tanti giocatori delle mie diverse Fortitudo ce l’ho fatta, creando un rapporto buono e stimolante. E’ importante saper motivare chi lavora con te. Lo spirito di gruppo nasce così. Ad esempio, ho avuto anche dei giocatori tecnicamente modesti o poco conosciuti, i quali tuttavia sentendo la fiducia dell’allenatore – nei momenti in cui c’era bisogno del loro contributo – sono riusciti ad essere utili. E dunque abbiamo vinto scudetti o coppe dei campioni anche con giocatori che dentro la famiglia della Fortitudo ci sono stati per poco tempo”.
I giocatori con i quali sei entrato maggiormente in sintonia?
“Sicuramente Alessandro Vaglio, sicuramente Carlos Infante, andando un po’ più indietro nel tempo Pablo Angrisano. Ci si capiva al volo con Joe Mazzuca, con lui c’era un sesto senso particolare e anche strano: infatti, sia nel periodo in cui è stato un mio giocatore e anche dopo quando è andato in un’altra squadra e l’ho avuto come avversario, Mazzuca sapeva esattamente sempre quel che volevo fare. Mi leggeva nel pensiero. Un bel feeling l’ho avuto con Paolino Ambrosino, anche se per poco tempo”.
Liverziani?
“Ovviamente un rapporto importante l’ho avuto con Liverziani, ma Claudio era già un campione compiuto e completo quando io presi a mano la Fortitudo. Una persona adulta. Uno che non aveva e non ha assolutamente bisogno di un mentore, se così posso dire. Con lui ho avuto tanti colloqui, ci siamo confrontati spesso. Soprattutto per la capacità di Claudio d’essere “uomo-spogliatoio”, sotto questo aspetto lui è stato il personaggio che mi ha aiutato di più in questi miei primi dieci anni da manager. Oltre ovviamente alle grandi prestazioni sul campo di gioco, l’importanza di Liverziani è quella di un uomo – con la sua personalità – dentro lo spogliatoio”.
Ci sono stati anche giocatori con i quali non hai legato?
“Qualcuno sì. Pochi, però. Una volta soltanto ho litigato: con GG Sato, il giapponese. Andò decisamente fuori dalle righe. E poi gettò la maglia dentro al bidone, eh no, questo non lo doveva fare. Inaccettabile”.
Ricordi. I ricordi più belli, più intimi, di questi dieci anni?
“Dire i grandi risultati, le conquiste, mi pare scontato. E allora, se debbo scegliere un momento e un motivo, dico che il debutto di Matteo D’Angelo in un Opening Game che vincemmo contro Parma, è sicuramente qualcosa da non scordare. Quell’anno un ragazzo diciottenne, al quale avevamo dato spazio, ci tenne per mano per l’intera stagione. Dunque, un motivo di grande soddisfazione per lo staff tecnico. Inoltre, ricordo tutte le notti che ho passato attivandomi per far diventare Carlos Infante italiano. Ci sono riuscito e questa è stata un’altra gratificazione che ho avuto. Poi vorrei parlare di Vaglio. Alessandro Vaglio, ora diventato – credo – il più bravo seconda base di tutti i tempi, l’ho voluto fortissimamente, ho spinto con il ragazzo e con la mia Società fino a quando si sono creati i presupposti per l’arrivo di Alessandro a Bologna. Ecco, giocatori come Infante, Angrisano, Vaglio, sono giocatori per i quali io ho fortemente insistito. Li ho voluti. E loro mi hanno ripagato abbondantemente, con il loro spirito, la loro professionalità e con grandi prestazioni”.
E i rimpianti?
“Il 2008, quando il monte di lancio crollò inaspettatamente dopo una regular season da 34 partite vinte e la prima di playoff vinta bene a San Marino. Dopo, nello spazio d’una settimana, ci facemmo sorprendere dal San Marino al Falchi e dal Grosseto in Maremma. In otto giorni andammo a compromettere tutte le nostre chances e l’ottimo lavoro di mesi. Ci fu anche un infortunio, seppure non preoccupante, a Richard Austin a penalizzarci: quell’episodio contribuì a togliere autostima al gruppo. Un altro rimpianto è legato a Reginato. L’ho avuto nel 2010. Io ritengo che Mattia sia, ancora, uno dei più grandi prospetti del baseball italiano. Un ragazzo che, purtroppo, dopo una stagione con i colori della Fortitudo, non siamo riusciti a trattenere. Lui fece un’altra scelta. Peccato. Peccato perchè gli avremmo affidato, al suo secondo anno con noi, il ruolo da titolare come catcher. Che è la sua vera posizione, non quella di esterno”.
Strana coincidenza: la Fortitudo 2008 e la Fortitudo di questo 2015 sono le tue squadre che hanno vinto il maggior numero di partite (37) in un campionato. Ma senza conquistare lo scudetto…
“Io ho imparato un cosa nel 2010, e cioè che quando tutti i giocatori fanno il proprio compito, quando tutti i giocatori fanno le piccole cose che sono utili alla squadra, i risultati arrivano o comunque lotti fino in fondo. Che cosa voglio dire con questa riflessione? Che nessuno, in questi ultimi mesi, mi ha remato contro. Ma che quando uno si sente forte, probabilmente si diventa troppo sboroni, si diventa presuntuosi, rischiando di perdere la capacità di fare cose semplici e preziose in umiltà. E’ fondamentale ricordarsi, sempre, che le partite importanti non si vincono volendo fare le battute extrabase, i fuoricampo, bensì lavorando pazientemente per costruire il punto”.
Il giocatore che hai visto crescere di più?
“Vaglio. Alessandro, quando arrivò da Grosseto, era già un buon giocatore. Aveva talento, ma per essere un campione gli mancava qualcosa. Qui siamo riusciti a fargli capire quello che gli mancava. Ed è diventato un giocatore completo, totale. Prima batteva soltanto in campo opposto, anno dopo anno s’è messo a battere a tuttocampo e con dei fuoricampo. Ha capito l’importanza della preparazione fisica, e altre cose. Grazie alla sua applicazione, alla sua determinazione. Forte con il bastone fra le mani, in difesa è straordinario: ho visto giocate da lui che non avevo mai visto fare da quando sono nel baseball”.
Il Campione più grande che hai allenato?
“Claudio Liverziani. Come giocatore e come persona. Rivelo: quindici anni fa, quando ancora giocavo, il mio sogno era quello di poter un giorno allenare Claudio Liverziani, David Rigoli e Luigi Carrozza. Ho avuto la fortuna di averli avuti tutti e tre”.
Ora, ammettilo: ad un certo punto di questa stagione 2015 che la Fortitudo stava dominando, soprattutto in campionato, ti sei trovato in una situazione delicata, imbarazzante, che non avresti mai immaginato. E che ti ha fatto affrontare le finali-scudetto con l’anima in subbuglio
“Già nella stagione scorsa avevo avvertito un po’ di distacco. Quest’anno ho avuto la conferma di un certo allontanamento nei miei confronti. Le sensazioni mi dicevano questo. Le sensazioni mi dicevano che c’era qualcosa che non andava, i rumors mi dicevano che c’era qualcosa che non andava, e alla fine anche qualche fatto ha confermato che il rapporto con il Club non era più quello di prima”.
Nonostante quella striscia, ad un certo punto, di diciannove partite vinte di fila?
“Nonostante…”.
Anche gli amici, i vecchi amici, ti hanno trasmesso questo senso di distacco, di freddezza? Come volessero scaricarti?
“Assolutamente sì. Assolutamente sì. Poi, è possibile ci siano state anche delle colpe mie, non lo metto in dubbio. Non voglio dire che le colpe siano tutte degli altri. Però, siamo persone adulte. E da persone adulte, i problemi andrebbero affrontati tutti insieme. Ecco: non mi è parso giusto questa situazione, questo stato di cose. E ho pensato bene d’essere io a fare il primo passo piuttosto che altri. Di conseguenza, alla vigilia della serie finale per lo scudetto contro Rimini, ho comunicato alla Società che non avrei rinnovato la mia opzione per il 2016. Una decisione che avevo presa, a malincuore, qualche settimana prima. La dirigenza ha preso atto”.
La squadra ha avvertito questa situazione anomala e delicata?
“Mi è stato detto di no, mi è stato detto di no. Io, terminata la serie-scudetto, all’inizio degli allenamenti pre-Coppa Italia ho radunato la squadra e soltanto in quel momento ho annunciato la decisione presa. La decisione di non proseguire il mio rapporto con la Fortitudo per il 2016. E i ragazzi ci sono rimasti male, così ho capito”
E adesso? Quale domani per Marco Nanni?
“ Quando le voci hanno cominciato a diffondersi, un paio di Club mi hanno contattato. Per informarsi. Per sapere se il mio era un addio definitivo al baseball, se era solo un anno sabbatico, o se c’era la possibilità di una trattativa e di un eventuale futuro con loro. Io ho chiesto semplicemente a questi Club un po’ di pazienza, il tempo di sistemare alcune cose con la Fortitudo. Di sicuro c’è la mia voglia di restare ancora dentro un campo da baseball. Ho ancora voglia di allenare, di insegnare, di vivere emozioni facendo il manager e di trasmettere emozioni. Ho ancora voglia di guardare negli occhi qualche giocatore e di migliorarlo, di accendergli una fiammella che magari ha nascosto dentro”.
Foto del fotografo di redazione Lauro Bassani/photoBass.eu
Spero che vada a Grosseto o Parma , hanno giovani prospetti e talento , voglia di tornare grandi ed avere soddisfazioni che mancano da anni .
Comunque complimenti per il lavoro svolto in questi anni.
fortini lo vuole fortemente a nettuno,anche se i tifosi nettunensi non ci credono
Noi ci teniamo Trinci … bella intervista ma non ho capito quel passaggio su Ambrosino e sul poco feeling ….
Come a Nettuno e a Ruggero, tanno fatto le scarpe !!
Bell’ intervista, ma alla fine brutta storia !!
Bella roba lasciarsi scappare il numero uno dei manager poi in quella maniera. Nei prossimi anni ci sarà da lavorare per rimanere ai vertici.
Derek Jeter, forse non hai compreso bene. Nanni nell’intervista ha detto che uno dei giocatori con i quali ha avuto maggiore feeling è proprio Paolino Ambrosino (e infatti so che ha grande ammirazione per lui), purtroppo è stato suo allenatore per poco tempo.
Ok grazie della spiegazione avevo interpretato male io
Peccato, il miglior manager che se ne va e non trattenuto è davvero un peccato. Mi aspetto che venga sostituito con un altro big oppure con un manager americano. Non credo che una squadra cosi importante possa essere messa in mano a coach senza esperienza.
bravissimo manager, good luck!
concordo sul piagnisteo dei bolognesi sempre e comunque…
Un grande grazie a Marco Nanni. E’ chiaro pero’ che dopo tanti anni irapporti si logorano, la pancia si riempe e allora c’e’ bisogno di cambiare senno’ diventa un accanimento terapeutico. qualcosa di piu poteva essere vinto ma nel dire cio non credo di essere un “maigoduto” ma semplicemente uno che ricorda che assieme alle vittorie ci sono state anche diverse delusioni.
Io direi che ha si vinto molto,ma lo deve principalmente agli sforzi economici della F,pensate solo allo squadrone,quello si lo era per davvero,del 2009,quella squadra andava in campo anche da sola… 51 hr,un line up da guerra.Quindi,Nanni ha si vinto ma voglio vedere quello che vincera’ fuori da Bologna
Daitarn, in questi ultimi anni la Fortitudo ha potuto disporre di risorse economiche abbastanza buone. Ma… nel 2009 (quando ha vinto lo scudetto ed è stata la stagione dei clamorosi 51 homers) il Club non aveva un euro… o quasi. Inizialmente. Si è partiti senza lo sponsor (e non c’è stato – mi pare di ricordare – per un bel po’). Tant’è vero che in inverno si temeva che la dirigenza fosse costretta a rinunciare al campionato! E dunque,Nanni e i suoi giocatori hanno lavorato bene, poi è tornato Richard Austin che ha trascinato il gruppo. E Garabito quell’anno si espresse decisamente al di sopra delle aspettative in attacco. Infatti nella stagione 2010 il rendimento di Garabito nel box di battuta fu meno consistente, molto distante da quello dell’anno precedente (tuttavia giocatore sempre affidabilissimo in difesa, sia da esterno sia da interno). Sì, nella fase finale quella Fortitudo del 2009… andava in campo da sola, ma perchè – dietro a quel rendimento alto – c’era stato per mesi un rigoroso lavoro. Con la solidità morale di superare i problemi e i tormenti dei mesi che avevano preceduto il campionato, e anche i dubbi d’inizio stagione.
Maurizio,apprezzo il tuo intervento,e’ vero in quell’anno siamo partiti allo sbaraglio ma come quasi sempre succede i titoli e le soddisfazioni arrivano quando meno te le aspetti o verosimilmente quando non le dai per scontate.Mi piacciono i tuoi commenti,ne capisci di baseball e anche di basket anche se….sei virtussino….pazienza
Se parliamo di basket sto con il “Maestro” Maurizio Roveri. V nere tutta la vita!
A me non è mai piaciuto come manager per i suoi comportamenti troppo aggressivi e fuori dalle righe e sono d’accordo sul fatto che vincere quando hai lo squadrone è comunque più facile si vede se sei un buon manager quando ti risollevi da situazioni difficili o da annate con giocatori magari meno forti….staremo a vedere che risultati avrà in un’altro ambiente poi lo potremo giudicare davvero…secondo me.
Si Daitarn… ovviamente il manager non vince da solo, il manager vince se ha gli uomini giusti e una società alle spalle che supporta la squadra, probabilmente quest’anno questo non è successo e alla fine purtroppo non si è vinto nulla.
Senza screditare nessuno un Manager americano sarebbe l’ideale per dare nuova linfa ad un organico che probabilmente si sta appiattendo e anche per dare un segnale diverso al baseball italiano
American coach? uhm…e’ sempre una cabala,devi trovare la persona giusta,avresti qualche idea? giusto per scambiarsi opinioni,per quel che puo’ contare…tanto la societa’ ha gia’ deciso
Concordo pienamente con Charlie.
Nahhhh….. Colantuono questa non me la dovevi fare….. siete anke li’ a Nettuno???? oh…siete peggio degli juventini,ma non ci credo!!!
Hartley ex Grosseto in Italia mi è piaciuto, Austin che allena in indy ball conosce la nostra realta, questi sono solo due esempi, penso che finita la stagione del college ce ne possano essere anche altri.
Charlie se dobbiamo valutare un allenatore solo per quel che dici tu allora per me Nanni è sicuramente il migliore.
Del 2009 ha gia detto Roveri, 2010 anno di rifondazione parecchi ragazzi nuovi e giovani in campo senza uno straniero arriviamo alla settima partita di finale contro il parma poi vinciamo coppa italia e coppa campioni. 2012 e 2013 all’incirca stessa cosa due annate senza uno straniero ma siamo riusciti a vincere ancora la coppa campioni. 2014 e 2015 due squadroni completi in tutti i reparti, persa malamente una finale e un campionato vinto. Io penso che sia sempre riuscito a tirare fuori il massimo dalle sue squadre, giustamente dobbiamo vedere se riuscirà a vincere in futuro e in altre squadre per dire che è il migliore ma qui a bologna lo è certamente stato.
Beh penso che Austin stia molto bene dov’e’ e poi scusa se lui venisse ad allenare qui lo farei anche battere al quarto spot del line up…tutta la vita guarda… anche a 50 anni,meglio Austin a 50 che tanti 25 enni…